Jack deve morire

Jack of Spades (2015) – Joyce Carol Oates / Inglese

Tra i più grandi romanzieri in attività, Joyce Carol Oates, scrittrice statunitense, si è distinta negli anni per vicende avvincenti ed una prosa incisiva e diretta, ma è stato l’avvento del ventunesimo secolo a decretare il decisivo salto di qualità. Salto dovuto, più che alla concretizzazione delle capacità romanzesche (già del resto dimostrate fin dai primissimi lavori), alla maturazione di uno stile inconfondibile, dove l’efferatezza delle vicende collima sempre sapientemente col volto di una determinata realtà americana. ‘Jack deve morire’ rappresenta alla perfezione quanto appena esposto, risultando come un’opera di straordinaria fattura, inquietante pur nella sua voluta astensione da un qualsiasi genere.

Andrew J. Rush è uno scrittore di successo, padre, figlio e marito integerrimo. Le sue opere, gialli piuttosto convenzionali, vendono così tanto da portare l’opinione pubblica all’accostamento col collega Stephen King, ma c’è un dettaglio di non poco conto nella vita di Andrew. Egli infatti si porta dietro un alter ego di mostruosa efferatezza, un tale Jack of Spades, protagonista e pseudonimo dei sanguinolenti romanzi horror che Andrew stesso scrive in segreto. Quando però un’anziana squilibrata lo querela per furto e plagio il mondo gli crolla addosso. Da lì in poi un’aspra battaglia si aprirà tra l’Andrew coscienzioso e il sanguinario Jack. Strani omicidi cominceranno a verificarsi, tutto sembra portare ad un’unica conclusione…

btM5xxK - Imgur

Oates sa come spaventare, traumatizzare il proprio lettore, ne conosce i punti deboli ma, ancora più importante, sa muoversi all’interno del romanzo di genere con un’abilità fuori dal comune. Il tema del doppio, del doppelgänger, delle due metà in conflitto non è certo nuovo, lo avevamo visto con lo Stevenson de ‘Lo strano caso del dottor Jekyll e mr. Hyde’, col Golding de ‘L’oscuro visibile’, col Poe di ‘William Wilson’ (molte di queste e altre ancora direttamente citate all’interno dell’opera stessa), con l’Auster di ‘Trilogia di New York’ e chissà quante altre volte. Niente di tutto questo è però paragonabile con JDM. La Oates infatti gioca a demolire i generi, lavora sulle paure più grandi dell’individuo pur senza lasciarsi per questo limitare da un costrutto di genere. C. W. Haider e Huang Lee questo sono, il concretizzarsi dei demoni interiori, quello dell’Andrew scrittore e quello dell’Andrew marito e capofamiglia, non a caso entrambe le figure vivono secondo l’impronta che Andrew solo conferisce loro, non possiedono una loro specificità, non ci è dato osservarle da un punto di vista obbiettivo così come niente di ciò che ci viene narrato. L’obbiettività salta nel momento in cui il conflitto interiore diviene materia di indagine psicologica e pretesto per angosciare il lettore: in quel mentre lo stile pure si piega alle esigenze dell’opera facendosi sempre più criptico, oscuro, malvagio.

Un ritmo avvincente, che si rivela cupo e malato solo dopo i due terzi dell’opera, disturbante e fin quasi satanico nel magnifico finale. In un’escalation di febbrile follia, la lucidità inizialmente riscontrabile nelle pagine come nella figura del protagonista scema fino ad eclissarsi del tutto. Capitoli di poche righe, abbozzate e sconce e un Andrew oramai marcio fino al midollo, consumato dalle proprie paure. La chiave dell’opera è infatti la debolezza propria del protagonista e questa soltanto lo porta a soccombere al proprio depravato doppio. JCO espone il suo concetto di paura in un thriller praticamente perfetto, che riconferma l’assoluta padronanza del mezzo letterario da parte di uno dei massimi scrittori della nostra epoca.

Voto: ★★★★/★★★★★

Questa voce è stata pubblicata in Postmodernism e contrassegnata con , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento